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L’Aceto tanto perfetto da andare in dono all’Imperatore Enrico

L’Aceto tanto perfetto da andare in dono all’Imperatore Enrico

Le origini dell’Aceto Balsamico di Modena risalgono a pratiche già in uso tra gli antichi Romani, poi custodite tra le nebbie della Pianura Padana dove le particolarità pedoclimatiche e storiche legheranno per sempre questo prodotto alla città di cui porta il nome, ma è durante il medioevo che il legame tra il futuro Balsamico e i territori di Modena e Reggio Emilia prende forma.

Il monaco benedettino Donizone è il primo, agli inizi del XII secolo, a celebrare il mistero di un prodotto già allora conosciuto oltre il suo territorio d’origine. Nel poema Vita Mathildis, dedicato alla stirpe e alle vicende di Matilde di Canossa, alcuni versi riportano un episodio in particolare, intessuto di simboli e riti di potere:

 

“Nel 1046 Enrico III di Franconia, il futuro Imperatore Enrico II del Sacro Romano Impero, si trovava a Piacenza, durante il viaggio che l’avrebbe portato a Roma per ricevere l’incoronazione imperiale. Fece arrivare quindi diversi doni a Bonifacio di Canossa, padre di Matilde, tra i più potenti signori del regno italico, perché voleva ricevere in cambio quel famoso “aceto perfettissimo” di cui molti gli avevano magnificato le qualità, che si faceva nel suo castello. Il marchese, non appena udito il desiderio di Enrico, fece fabbricare una botticella d’argento, in cui versò il prezioso liquido, due buoi, un giogo ed un carro anch’essi d’argento, li mise su un grande carro trainato da due buoi veri e mandò il carico al sovrano.
Il re Enrico III ne rimase altamente ammirato e sorpreso, a tal punto che riconobbe la preminenza di Bonifacio nei rapporti di potere fra i signori della penisola. Il dono superò per prestigio e carica simbolica quello di un altro influente feudatario locale, Alberto, Vescovo di Mantova, che per non essere da meno, aveva mandato all’imperatore cento cavalli bai, cento astori usciti dalla muta e cento rapaci di prime penne.”

 

L’aceto di Bonifacio, circondato da una fama leggendaria e quasi miracolosa, si proponeva come donativo unico, non confrontabile con altre ricchezze materiali, proiezione di un potere superiore agli altri, che di fatto Enrico legittimò.

 

È difficile oggi ipotizzare le caratteristiche del contenuto di quell’antica botticella d’argento, di certo differente dall’aceto già allora comunemente ottenuto dal vino, ma il destino era tracciato, e i secoli a venire, e le tradizioni a lungo tramandate, avrebbero dato vita al prodotto che oggi conosciamo.

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